top of page

Nato nel 1951 a Rovereto (TN).

Ha fatto i primi studi all'Istituto Statale d’Arte di Trento frequentando poi il biennio al Magistero di Grafica di Urbino, dove consegue l'abilitazione all'insegnamento della tecnica della litografia (Prof. Carlo Ceci) e dove avviene per lui l'incontro straordinario con il mondo rinascimentale e la pittura di Piero della Francesca.

Dal 1974 al 1981 vive a Milano.

Decide di frequentare l'Accademia d'Arte senza legarsi a nessun maestro e quindi di cambiare città ogni anno scolastico.

Il primo anno lo troviamo all'Accademia “Brera” di Milano con il maestro Cantatore il quale insieme alla metropoli lo interessa all'arte moderna e soprattutto alla Metafisica.

Il secondo anno si iscrive all'Accademia d'Arte di Firenze interessandosi all'arte Dada e Pop.

Il terzo anno frequenta l'Accademia d'Arte di Venezia con il maestro Emilio Vedova studiando l'Informale;  

Il quarto anno si iscrive all'Accademia d'Arte di Bologna con il prof. Concetto Pozzati confrontandosi con la pittura Concettuale e la pittura di Giorgio Morandi.


Viaggi di studio: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Inghilterra, Olanda, Spagna, Stati Uniti d'America, Svizzera.

Giorgioppi vive e lavora a Bolzano.

La critica di Vittorio Sgarbi

C'è forse una legge del contrappasso perché dopo lunghi anni, e difficilissimi anni, di interdizione alla pittura, di censura e anche di disprezzo per chiunque avesse il talento di una mano felice (ricordo il caso di Annigoni, ma si possono ricordare molti altri casi) pittori come Giorgioppi siano riusciti a difendere finalmente le ragioni della pittura, e ancor meglio, il realismo in pittura.
Stupire, meravigliare, sembrano essere gli obiettivi di Giorgioppi, il quale piace, piace oggi che non e più obbligatorio innamorarsi di tele stracciate o tagliate e che ci si può perfino compiacere di veder una cosa gradevole, al punto che la gradevolezza supera se stessa, diventando una straordinaria scenografia. E’ inutile pensare alla pittura, bisogna farla. E inutile che la pittura rappresenti una sofferenza o una tensione. La pittura deve essere supremo diletto. Un pittore deve esprimere sempre e comunque un'idea individuale dell'arte e della forma, anche a costo di non essere capito, anche a costo d'infrangere il „patto” comunicativo che ogni serio artista dovrebbe avere con chi osserva le sue opere.
Ci sono stati grandi artisti per i quali, al contrario, la massima aspirazione dell'arte contemporanea e quella di farsi oggetto fra gli oggetti. Via il soggetto, via i suoi narcisismi, via il desiderio di affermare una propria individualità in un mondo che democraticamente privilegia i valori della collettività. E’ l'oggetto il vero fulcro dell'arte, liberato da ogni tentativo di deformazione soggettiva che pretenderebbe di attribuirgli una condizione di spiritualità della quale non ha bisogno. A questo punto si potrebbe credere che la dialettica fra „soggetto” e „oggetto” riproponga la tradizionale divisione fra „avanguardia” e „tradizione”, oppure quella fra „figurazione” e „anti-figurazione”. Non è così; lo dimostra il fatto che il maggiore e il più lucido degli „oggettivisti” novecenteschi sia stato un maestro fra i più grandi dell'Avanguardia, Marcel Duchamp, come ha bene evidenziato in un saggio recente Rosalind Krauss, studiosa di arte „tradizionale” e di fotografia. Duchamp, dice la Krauss, era strabiliato dalla capacita della fotografia di „oggettivare” il reale, di farlo diventare comunicazione ed eventualmente anche arte senza che il soggetto svolgesse alcun ruolo determinante. E proprio nel tentativo di emulare la fotografia che Duchamp avrebbe ideato il ready made, ovvero l'arte che si fa oggetto al punto da non essere più distinguibile da esso. E’ curioso che il massimo sforzo di „oggettività” mai compiuto dall'arte sia stato interpretato da tanti critici in un senso completamente opposto, ovvero come espressione di una soggettività sovrana e divinamente bizzarra.
Ci sono stati artisti, cioè, a cui l'epoca contemporanea deve riconoscere uno straordinario merito intellettuale: quello di aver scoperto che fra oggetto e soggetto non solo non c'è contrapposizione, ma che i primi sono parte integrante dei secondi. Metafisica, ecco il nome di questa scoperta, di questa ultima, grande, insormontabile avventura della figurazione.
Sono considerazioni, queste, che vengono naturali davanti alle opere di Giorgioppi. Dotato di straordinario mestiere, Giorgioppi e in grado di dipingere nature morte come il migliore dei caravaggisti e ritratti strabilianti che per precisione di resa potrebbero competere con la fotografia. In alcune delle sue opere più recenti, Giorgioppi sembra voler riecheggiare la tradizione dello stilleven fiammingo e olandese, con quei fiori e quei vasi di vetro trasparentissimo che non possono non ricordare gli analoghi soggetti trattati, fra gli altri, da Abraham Bruegel. Altrove gli „oggetti” sembrano rimandare, oltre all'obbligato riferimento caravaggesco come loro radice prima, a esperienze geograficamente più meridionali come quelle di Zurbaran, Sanchez Cotan, Baugin. Si potrebbe credere, insomma, che con Giorgioppi ci troviamo di fronte a un citazionista di maestri del passato, a un esibizionista del virtuosismo tecnico, a un profeta della vecchia regola per la quale l'arte e sempre mimèsis, imitazione del reale, illusione ottica. Non e così. Giorgioppi e artista che, malgrado le apparenti analogie di genere e di tema, si confronta con una realtà diversa da quella di Apelle o Caravaggio, una realtà che è quella riprodotta dalla fotografia, dalla televisione, dai computer. Giorgioppi sa bene che dalla Metafisica in poi nessuno può più credere in arte all'oggettività assoluta.
Nonostante ciò, nessuno potrebbe negare che gli oggetti riprodotti da Giorgioppi possiedano il respiro dell'assoluto, della più pura delle dimensioni mentali. Lo si capisce subito vedendo i suoi fiori, Composizione di rose (2000) che, attraverso un suggestivo passaggio dall'iperreale all'ideale, diventano quasi decorazione allo stato puro, arabesco simmetrico, essenza di forma assoluta, motivo araldico, stilizzazione senza funzione diversa da sé stessa, un po' come una volta, capitava nelle illustrazioni scientifiche del Ligozzi o della Garzoni. Normalmente, pero, Giorgioppi non limita la fisicità tangibile dei suoi oggetti, non la rinnega in nome di supreme esigenze intellettuali. Al contrario, Giorgioppi si addentra nella materialità degli oggetti, Amarillis (1999) quasi attraverso un „marcamento stretto” che non di rado sfiora i registri dell'iperrealismo. La materia-forma viene guardata (Natura morta 2000) da vicino nelle sue manifestazioni fenomeniche più ordinarie, catturata e sviscerata dall'artista con il fare analitico di uno scienziato, ma senza dare mai l'impressione di essere vittima di un gioco a essa sfavorevole. Sembra piuttosto che sia essa stessa a condurre il viaggio in cui e stata coinvolta, ammaliando il suo esploratore al punto da confondere totalmente le reciproche volontà: e l'artista che ha voluto rappresentare gli oggetti in un certo modo o sono stati gli oggetti a „costringerlo” in tal senso?
Alla fine, cioè, il processo di sublimazione fisica degli oggetti consegue il risultato d'individuare proprio nella materia-forma, una materia-forma derivata integralmente dalla percezione del reale, la vera dimensione spirituale delle cose. Si tratta di un'acquisizione, quella a cui perviene Giorgioppi, che modifica nella sostanza la logica metafisica degli oggetti: le cose non esistono per rimandare a significati „altri” da se stessi, per essere funzione dell'inconscio e dell'intelletto, ma appartengono a un universo proprio e autonomo anche quando hanno il potere di evocare, di stimolare la memoria dell'uomo. A simili conseguenze, sebbene battendo strade ancora diverse, era giunto anche un grande erede della lezione metafisica, Domenico Gnoli. Come nel Wonderland di Carroll, gli oggetti di Giorgioppi reclamano il diritto ad avere una propria vita, perfino una propria anima; ci chiedono di essere rispettati per questo, di essere ammirati senza alcun tentativo d'invadenza. Siamo noi la loro memoria, il loro segno di un tempo che corre a velocità assai diversa rispetto al nostro. Siamo noi i loro incidentali compagni d'avventura, in fondo non troppo necessari.
Vittorio Sgarbi 2004

La critica di Chiara Gatti

L'uovo di Piero

Nulla si truova insieme nato e perfetto. Alberti, De Pictura.

La perfezione? Non è di questo mondo. Anche se, a guardare le immagini di Giorgioppi, ci sarebbe da ricredersi. Intanto perché non esiste elemento che possa essere tolto o aggiunto senza compromettere l'equilibrio della composizione, senza spostarne il peso e sbilanciarne la stabilità. E poi perché i suoi quadri sono una sintesi assoluta di logica e poesia. Qualcosa di molto simile, per azzardare un paragone letterario, allo spirito dei romanzi di Robert Musil o Roland Barthes dove - diceva Calvino - "coabitavano il demone dell'esattezza e quello della sensibilità".

Bene, come per Musil e Barthes, anche il demone "bifronte" di Giorgioppi, paradossalmente, fa miracoli. Costruisce spazi misurati al millimetro, strutture lucide di piani e schemi così logici da sembrare ostili. Ma poi ci piazza al centro oggetti simili a presenze angeliche, capaci di trasformare anche la più rigida simmetria in un elogio della leggerezza.Eccolo qui il miracolo. Un miracolo di leggerezza ben calcolata. E viene spontaneo ripensare agli antichi Egizi, per i quali la piuma era un simbolo della precisione. Per questo la posizionavano idealmente sul piatto di una bilancia a fare da contrappeso al peso dell'anima. La precisione coincideva, per loro, con la levità.

Letta in quest'ottica, la piuma di Giorgioppi è una mela spezzata in due, è una rosa, è un bicchiere di vino rosso.Per Piero della Francesca, autore da lui amatissimo, la piuma era... un uovo. Librato a mezz'aria, sopra la testa di una madonna in trono, emblema ancestrale della vita e richiamo evidente all'idea di spazio centralizzato, conchiuso e, ancora una volta, perfetto.La perfezione esiste, dunque. Ed è quella della "divina proporzione" di Piero.

A questo pensa Giorgioppi quando nei suoi teatrini dalle superfici specchianti sospende, col filo a piombo, candidi bouquet che restano immobili, in totale assenza di gravità. L'oggetto diventa forma pura e l'esistenza si cristallizza in questa forma. Per un momento il tempo s'arresta. Non c'è palpito. Non c'è moto. Non c'è un alito di vento che faccia oscillare i suoi ciondoli di fiori, in bilico nel vuoto, come pendoli di un orologio rotto. Un miracolo di sospensione, insomma.

Parafrasando il Belli, che sosteneva "la morte sta nascosta negli orologi", verrebbe da dire banalmente che un orologio rotto è un antidoto alla fine delle cose. Di conseguenza la sospensione di Giorgioppi è piena di vita! E, qui, torniamo all'uovo di Piero e alla sua chiara allusione al concetto di maternità.

E’ in questo quadro che va vista tutta la riflessione estetica di Giorgioppi. Nessuno, alla luce di quanto detto, è più immune di lui dalla piaga peggiore della figurazione odierna: l'improvvisazione. Merito di quel doppio demone che gli affattura la mente. Un demone dell'analisi, inventore di affascinanti combinazioni logiche, e, allo stesso tempo, demone dell'immaginazione, del misticismo, della fantasia. Si tratta, in sostanza, di un ingegnere sognatore, in grado di approfondire suggestioni diverse e di rielaborarle in proprio. Dalla sezione aurea alla prospettiva del Brunelleschi, dalle anamorfosi di Leonardo al rigore geometrico di Paolo Uccello, che, per l'artificio del suo Calice ideale, fu addirittura accusato dal Vasari di essere più un matematico che un artista.Del Novecento, invece, Giorgioppi succhia il midollo dell'astrazione. Da Mondrian eredita il sogno di una purezza spaziale, ansia di assoluto, da Morandi il gusto, quasi enigmistico, per la creazione di schemi. Fatti, non di numeri, ma di oggetti. Sempre gli stessi - la brocca, il calice, la bottiglia - ma ripetuti all'infinito, secondo infinite combinazioni.

La numerologia mistica medievale, che celava reconditi arcani nelle più astruse sequenze variabili, armonizza qui con la rilettura dei motivi tipici della spiritualità controriformista, e cioè delle iconografie della vanitas, privilegiate dai grandi interpreti della Scuola di Leida e, soprattutto, ripetute nei dipinti di figura di Vermeer.

Non esiste un'opera di Giorgioppi in cui non coabitino lo spazio del Quattrocento italiano e l'analisi sottile d'indole fiamminga.Da questa fusione, parte spedito il costruttore, il teorico, il fantastico assemblatore di tazze, fiori recisi, brocche sbeccate, che subiscono un imprevedibile processo d'allontanamento dal loro status quotidiano. Con un tuffo nel metafisico, Giorgioppi plasma macchine estetiche esemplari, simili - per tornare alla matematica - a equazioni risolutive. Esattamente come queste, ogni costruzione ha una sua ragione; è un sistema chiuso, un complesso di riferimenti che si sovrappongono con metodiche ogni volta diverse.

Ma poi scatta la sorpresa. Quando pensi di aver trovato la chiave per leggere i suoi schemi (come accade coi numeri dei calcoli enigmatici), Giorgioppi si diverte a stupire, mescolando le carte del suo gioco di rimandi. La vocazione a contaminare i grandi classici con immagini attuali è vagamente spiazzante.

E l'uovo di Piero diventa pop. I soliti oggetti, isolati, ritagliati a forbice su fondi compatti, sono icone di un mondo in figurina, dove però tocca alla luce fare la differenza. Sfuggita alla regola dell'astrazione, la luce cala nei suoi teatri immobili e dà vita alle forme.Ogni cosa si rianima. Si percepiscono segreti nascosti nell'ombra e assenze evocate da sedie vuote e lenzuoli sgualciti.

L'inquietudine serpeggia allora nel silenzio. I fiori cominciano a perdere i petali, la mela annerisce. E ti accorgi, d'un tratto, che il miracolo della sospensione ha un retrogusto esistenziale.

La ricerca di un equilibrio assoluto, della leggerezza e della proporzione rappresentano, ora, un conforto al pericolo della precarietà. Partendo dalla verità delle cose, Giorgioppi segue gli ammonimenti dell'Alberti e va a caccia di quella "idea di bellezza" che rappresentava, per il maestro del De Pictura, la trascendenza degli esemplari presenti in natura, eletti a simboli ideali (e incorruttibili!) della vita, da rappresentare necessariamente con le regole di un mestiere acquisito. Quello che Giorgioppi, fra preparazioni tradizionali e metodi antichi, maneggia magicamente. Lui, poeta ingegnere, in grado di tramutare anche un asparago in un miracolo di perfezione.

"In quale impresa difficilissima - ammoniva l'Alberti - se poco abbiamo potuto satisfare alla espettazione di chi ci ha letto, incolpino la natura non meno che noi, quale impose questa legge alle cose, che niuna si truovi arte quale non abbia avuto suoi inizi da cose mendose: nulla si truova insieme nato e perfetto. Chi noi seguirà, se forse sarà alcuno di studio e d'ingegno più prestante che noi, costui, quanto mi stimo, farà la pittura assoluta e perfetta".

Chiara Gatti 2006

Mostre personali

1983 - 1988 - 1992 - 1997  Galleria Leonardo, Bolzano

1983   “Feste Vigiliane”, Trento, Costumi dei Ciusi e Gobj

1984 - 1986 - 1994  Galleria Domenicani, Bolzano

1986   “Expo” Bari - Galleria Pancheri, Rovereto 

            Galleria Pancheri, Rovereto

1987   Galleria Novecento, Pergine (TN)

1991   Castel Mareccio, Bolzano 

1997   Galleria Il Castello, Trento

1998 - 2001 - 2004  Galleria Goethe, Bolzano

1999    “Meranflora” Merano - Giorgioppi e Zanoni - Galleria Goethe, Bolzano

1999 - 2000 - 2002 - 2004  “Arte Fiera” Bologna - Galleria Goethe, Bolzano

2003 - 2013 - 2018 - Galleria Willy, Vilpiano (BZ)

2006    Galleria Salamon, Milano

2007 / 2020 “Mostra annuale”, Piccola Galleria del Comune di Bolzano

2015   KUNSTFORUM della Bassa Atesina, Egna (BZ)

2021   Galleria Associazione Artisti Alto Adige, Bolzano

 

Mostre collettive

1976   Galleria Lotty “Artisti di Brera”, Pordenone

1983   Gallerie Cafè 44, Innsbruck (A)

1987   “Panorama & Panorama”, Bolzano

1988   Palazzo Strozzi “Museo dei Musei”, Firenze, 

            presentazione di Federico Zeri ed Umberto Eco.

1990   Collaborazione con la Galleria Forni di Bologna. 

            Esposizione in Giappone, Galleria Forni, (BO)

1997   VI Biennale Internazionale di Grafica, Udine

1999   Internationale Kunstmesse, Innsbruck (A)

2005   MIMAS - Palazzo della Permanente, Milano - Galleria Salamon, Milano

            MIART - Fiera Milano - Galleria Salomon, Milano

            Mostra Collettiva, Palazzo della Regione, Trento

2007   Arte Verona - Galleria Salomon, Milano

Studi su Piero della Francesca

2008 - 2015   Studi sulla ricostruzione della “Pala Montefeltro” di Piero della Francesca

2018   Documentario “Illustri conosciuti - Piero della Francesca”, con Piero Badaloni,

             regia di Luca Crescenti, Network Tv 2000. Elaborazioni grafiche di Giorgioppi 

bottom of page